mercoledì 26 dicembre 2018

Mary Poppins e la paura di sbagliare

Perché per preparare la pasta all'amatriciana usiamo la ricetta della zia ?
Perché per fare i biscotti quella della nonna ?
Perché per andare in un posto che frequentiamo facciamo sempre la stessa strada ?
Perché frequentiamo, preferibilmente, sempre le stesse persone ?
Perché impariamo a svolgere un lavoro ?

Forse perché è più facile fare qualcosa che si sa fare ? Ci fa stare meglio, non ci fa venire l'ansia ripetere sistematicamente la stessa azione, nella sicurezza del risultato. Ecco perché.

Ma la domanda è: il risultato verso il quale andiamo ci soddisfa pienamente ?
I biscotti della nonna sono davvero il "non plus ultra" ? Le nostre amicizie soddisfano completamente le nostre aspettative e le nostre esigenze quando siamo con loro ?

O si potrebbe fare di meglio ? O solo provarci ad avere qualcosa di un livello più alto ? Perché non ci proviamo ? O almeno perché non ci proviamo SISTEMATICAMENTE ad alzare l'assicella ? Le informazioni e le possibilità di comunicazione non ci mancano. Eppure ... ripetiamo sempre le stesse azioni se possibile. Preferiamo restare nella "confort zone" del risultato sicuro ma, probabilmente, poco soddisfacente. Perché ?
Eppure Mary Poppins ci insegna che "nulla è impossibile" e quindi cosa ci spaventa ? Di cosa abbiamo paura ?
Secondo me abbiamo paura del fallimento. Non di ottenere dei biscotti leggermente peggiori di quelli della ricetta della nonna, no, abbiamo paura che vengano proprio "na schifezza". Abbiamo paura di essere gli ultimi arrivati sul lavoro, di dover fare lo sforzo di imparare sbagliando naturalmente. Ecco: abbiamo paura del FALLIMENTO.
Perché ? Perché avere il terrore di fallire ? Buttare via una teglia di biscotti o fare un errore al lavoro non farà mica crollare il mondo. Anzi sbagliando e riconoscendo di aver sbagliato si può solo migliorare e magari trovare la nostra strada: fare i biscotti più buoni che abbiamo mai assaggiato o svolgere un lavoro dove non vediamo l'ora che arrivi i lunedì.
La paura del fallimento ci preclude questa gioia, forse la gioia di vivere una vita piena.
Perché abbiamo così tanto terrore di sbagliare ? Essere chiamati "coglione" da uno in auto solo perché non abbiamo visto il suo specchietto facendo manovra .... possiamo essere certi che lui stesso poco prima non ha visto un pedone ed a momenti lo metteva sotto. Quindi non è la paura di essere inferiori o non al livello degli altri (almeno non lo è per chi è consapevole che tutti più o meno si fa gli stessi errori).
Non è neanche la religione: almeno nella mia, quella cristiana, c'è tutto il discorso del libero arbitrio e del perdono che è al contrario quasi una istigazione all'errare.
Non è colpa dell'educazione: "portando avanti gli studi accademici capirai di che dimensioni è il tuo cervello" diceva H. Hesse in non ricordo quale dei suoi scritti. Studi complessi richiedono fallimenti continui e l'ammissione iniziale di qualcosa che non è alla nostra portata.
Stessa cosa vale per la famiglia. Quale genitore ha mai preteso che i figli non cadessero e imparassero direttamente a camminare.
Dove è annidata questa paura del fallimento ? Io, in parte l'ho rimossa, ma vorrei capire dove abita.
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lunedì 11 giugno 2018

Perchè sono contro il "mercato"



Premesso che non appartengo a nessun "movimento" o "partito", non sono "comunista" e non sono nulla di classificabile: sono io e basta. Con la mia etica, i miei valori e le mie idee.

Ma sono contro il mercato perché:

- è disposto ad includere in un prodotto una componente chimica che fa male agli utilizzatori solo perché da una indagine si è scoperto che venderebbe di più se non si creasse del deposito sul fondo della confezione.
- è disposto ad investire in ricerca e sviluppo e aumentare il costo di un prodotto solo per impedire a gli utilizzatori di farne un uso alternativo: vi siete mai chiesti come mai i tappi delle bottiglie in plastica non sono "compatibili" ? Ma vanno bene solo per la marca ed il modello originale ? Perché da un tergicristallo per auto non è possibile smontare il gommino ed inserirlo in un'altro modello persino della stessa marca.
- ci martella giorno e notte con la pubblicità facendoci dare per scontato che abbiamo bisogno dell'auto nuova, dello smartphone nuovo, della lavatrice nuova. Quando il più delle volte non è così e ci basterebbe riparare l'auto che abbiamo alla quale non manca nulla, approfondire l'uso dello smartphone che abbiamo e che magari con un aggiornamento software torna come nuovo, che su youtube c'è un video su come smontare e sostituire il cuscinetto del cestello della lavatrice che abbiamo e che ci macchia le robe per soli 24 euro.
- se ne fotte dell'impatto ambientale che la spinta ad i consumi determina: avete mai pensato che se avete dei pomodori piantati in giardino andate alla pianta, ne staccate quelli che vi servono e li consumate. Invece se li prendete al supermercato essi sono contenuti in una confezione di cartone avvolta in del cellophane e che quando andiamo alla cassa ci mettono il tutto in un ulteriore imballo che è il sacchetto di plastica per portarli a casa. 3 strati di confezionamento, rispetto a 0 quando è raccolto e consumato.
- ci mostra donne super fighe, per lo più ritoccate o digitalmente o chirurgicamente così tanto aderenti al modello di bellezza del targhet che alla fine anche una VERA bella donna passa in secondo piano rispetto a quel modello.
- ci convince che <<la cellulite è una malattia ... >> e quindi la devi curare con gli appositi farmaci, che però <<possono avere contro indicazioni anche gravi>>
- ci spinge al gioco d'azzardo delle macchinette mangia soldi, del lotto, dei gratta e vinci... perché <<se non giochi non vinci>> e però <<può causare dipendenza patologica>>
- ci costringe a credere a delle bugie per essere felici.

Questo video (nel quale, per coerenza, vi prego di cliccare su "SALTA" la pubblicità appena possibile), postato da una carissima amica (con la quale vivo una sintonia di pensiero rara) rimarca quello che ho sempre pensato e sostenuto, ma in più fornisce un suggerimento per superare tutto questo (e di quest'ultima cosa cercherò di fare tesoro e proporre una possibile soluzione oltre a dare sfogo alla mia voglia di critica, per essere costruttivo): e allora l'unico modo per difendere la nostra identità e preservare i nostri processi mentali dall'assimilazione passiva di un mare di merdose idiozie, la SOLA cosa, è leggere per stimolare l'immaginazione e la libertà di pensiero e coltivare la nostra coscienza secondo il nostro sistema di credenze. Fidatevi: l'unico modo per sopravvivere è preservare la nostra mente. [cit. Detachment]
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sabato 21 aprile 2018

Sinergia

La parola "sinergia" mi ha sempre affascinato ed attratto.
Questa la, ormai doverosa da riportare, definizione di Wikipedia:

"La sinergia (dal greco συνεργός, che significa "lavorare insieme"), in generale, può essere definita come la reazione di due o più agenti che lavorano insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente. Il concetto è applicato in tutte le discipline, dalla biologia alla sociologia."

Ho dato per scontato per anni, che una volta reso evidente l'obiettivo comune e i suoi vantaggi per tutti, l'azione delle parti coinvolte sarebbe stata, appunto, sinergica e congiunta.
Mi sembrava facente parte del motivo per cui l'essere umano si sia evoluto fino al punto attuale smarcandosi da tutte le altre specie. Ero convinto della prevalenza e della consapevolezza di quella che, in ambito socio-politico, si chiama "coscienza di classe".
Un gruppo di lavoratori, tutti dipendenti della stessa azienda, appartenenti allo stesso livello sociale e, anche se con piccole differenze, economico fossero naturalmente spinti a fare squadra, se non nei momenti di calma almeno, sicuramente anzi, nei momenti di difficoltà o pericolo. Davo persino per scontata questa collaborazione anche ai fini migliorativi delle proprie condizioni. Facendo perno sul "gruppo". La stessa cosa valeva, secondo me, in altri gruppi omogenei: scolari e associati di ogni genere.
Saranno stati i libri o il mio provincialismo (cit. F. Guccini) ma la centralità dell'individuo, della mia concezione etica e sociale, non cozza(va) con quanto detto sopra. L'intelligenza del singolo e l'istinto sociale lo doveva portare all'evidenza del vantaggio collettivo, del potere del gruppo. Anche partendo da una concezione individualistica, potrei definirla "individualismo-collettivo".

Ho poi scoperto che tutto dipende dalle persone che formano il gruppo. Dai singoli (a sostegno delle fondamenta individualiste della mia concezione del mondo) che possono percepire o meno il gruppo in quanto tale. I singoli devono essere consapevole che solo rinunciando a un pezzettino o a tutti i loro vantaggi possono godere di quelli ottenuti mediante l'azione di gruppo. Chiaramente devono valutare se i vantaggi ottenuti dal gruppo sono di loro interesse o meno, quanto valgono per essi.

La coscienza di classe, elemento fondativo di una certa cultura di sinistra, è stata oggetto di un lungo lavoro di logorio volto all'annullamento di questa. La parcellizzazione dei contratti lavorativi, la spinta verso l'apparire, l'alimentare attività isolanti. Tutto questo ha portato alla perdita del concetto di classe. La forza del gruppo che, a secondo del punto di osservazione, può risultare un potere o una minaccia è stata annientata perché ognuno si ritiene parte a se. La "comunità" è stata virtualizzata dalle nuove tecnologie di comunicazione e non mutuata da queste. Si è riusciti ad imporre un concetto di comunità forte, qualcosa di cui abbiamo bisogno e che lavoriamo per alimentare ed accrescere. Ma questo nuovo tipo di comunità è quella che ci mette i "like" sui social, perché se buchiamo una gomma, pur avendo 4999 "amici", poi non sappiamo chi chiamare per farci dare un passaggio.

E quindi sento il bisogno di tornare a fare comunità, ma quella vera, quella fatta di presenze fisiche, di prossimità, quella fatta di sguardi, di odori, di contatti fisici. Forse farlo ora, tornare ora alla comunità fisica, ha un catalizzatore in più: l'aver assaporato i piaceri delle comunità virtuali, aver percepito le potenziali sinergie o averne sfruttate alcune virtuali, può dare valenza e pregnanza ad una realtà riconquistata.

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