sabato 21 aprile 2018

Sinergia

La parola "sinergia" mi ha sempre affascinato ed attratto.
Questa la, ormai doverosa da riportare, definizione di Wikipedia:

"La sinergia (dal greco συνεργός, che significa "lavorare insieme"), in generale, può essere definita come la reazione di due o più agenti che lavorano insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente. Il concetto è applicato in tutte le discipline, dalla biologia alla sociologia."

Ho dato per scontato per anni, che una volta reso evidente l'obiettivo comune e i suoi vantaggi per tutti, l'azione delle parti coinvolte sarebbe stata, appunto, sinergica e congiunta.
Mi sembrava facente parte del motivo per cui l'essere umano si sia evoluto fino al punto attuale smarcandosi da tutte le altre specie. Ero convinto della prevalenza e della consapevolezza di quella che, in ambito socio-politico, si chiama "coscienza di classe".
Un gruppo di lavoratori, tutti dipendenti della stessa azienda, appartenenti allo stesso livello sociale e, anche se con piccole differenze, economico fossero naturalmente spinti a fare squadra, se non nei momenti di calma almeno, sicuramente anzi, nei momenti di difficoltà o pericolo. Davo persino per scontata questa collaborazione anche ai fini migliorativi delle proprie condizioni. Facendo perno sul "gruppo". La stessa cosa valeva, secondo me, in altri gruppi omogenei: scolari e associati di ogni genere.
Saranno stati i libri o il mio provincialismo (cit. F. Guccini) ma la centralità dell'individuo, della mia concezione etica e sociale, non cozza(va) con quanto detto sopra. L'intelligenza del singolo e l'istinto sociale lo doveva portare all'evidenza del vantaggio collettivo, del potere del gruppo. Anche partendo da una concezione individualistica, potrei definirla "individualismo-collettivo".

Ho poi scoperto che tutto dipende dalle persone che formano il gruppo. Dai singoli (a sostegno delle fondamenta individualiste della mia concezione del mondo) che possono percepire o meno il gruppo in quanto tale. I singoli devono essere consapevole che solo rinunciando a un pezzettino o a tutti i loro vantaggi possono godere di quelli ottenuti mediante l'azione di gruppo. Chiaramente devono valutare se i vantaggi ottenuti dal gruppo sono di loro interesse o meno, quanto valgono per essi.

La coscienza di classe, elemento fondativo di una certa cultura di sinistra, è stata oggetto di un lungo lavoro di logorio volto all'annullamento di questa. La parcellizzazione dei contratti lavorativi, la spinta verso l'apparire, l'alimentare attività isolanti. Tutto questo ha portato alla perdita del concetto di classe. La forza del gruppo che, a secondo del punto di osservazione, può risultare un potere o una minaccia è stata annientata perché ognuno si ritiene parte a se. La "comunità" è stata virtualizzata dalle nuove tecnologie di comunicazione e non mutuata da queste. Si è riusciti ad imporre un concetto di comunità forte, qualcosa di cui abbiamo bisogno e che lavoriamo per alimentare ed accrescere. Ma questo nuovo tipo di comunità è quella che ci mette i "like" sui social, perché se buchiamo una gomma, pur avendo 4999 "amici", poi non sappiamo chi chiamare per farci dare un passaggio.

E quindi sento il bisogno di tornare a fare comunità, ma quella vera, quella fatta di presenze fisiche, di prossimità, quella fatta di sguardi, di odori, di contatti fisici. Forse farlo ora, tornare ora alla comunità fisica, ha un catalizzatore in più: l'aver assaporato i piaceri delle comunità virtuali, aver percepito le potenziali sinergie o averne sfruttate alcune virtuali, può dare valenza e pregnanza ad una realtà riconquistata.

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